Erode Antipa (in cerca di AUTORE)

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Eccoci ad Erode Antipa.

Non nego che non mi sta molto simpatico, anche se – in confronto al padre Erode il Grande – era un angioletto.

Secondo le lettere di Pietro è lui il vero responsabile della morte di Gesù, è lui – dicono – che avrebbe potuto fermare la mano dei farisei, del Sinedrio.

Un uomo a metà, un uomo rovinato dall’inizio, da piccolo, ubriacato ed alimentato fin da piccolo dalla diffidenza, dal potere, dal piacere … Un pover’uomo, insomma.

Ma non è  per questo che non mi sta simpatico, quanto – piuttosto – che è un recidivo di professione. Di occasioni ne ha avute tante, ad iniziare da Giovanni; qualche “movimento” verso  il bene l’ha avuto, ma poi … ha ceduto al “tutto qui e subito perché posso”.

Come per gli altri personaggi, però, non è tanto quello che ha fatto, ma quanto ci potrebbe aiutare a – come dire – rimuovere eventuali pericoli.

Non è detto che dobbiamo arrivare alle “nefandezze” di Erode, ma certe origini del comportamento di Erode potremmo ritrovarle (in piccolo) anche in noi.

Senza andare a prendere le “rinunce”, le varie povertà c’è – di fatto – l’immagine che il cristiano sia un perdente, un debole, un vinto e – a volte – pure ingenuo.

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Pilato (in cerca di AUTORE)

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Eh! Figura complicata questa di Pilato. Figura un po’ troppo spesso “non considerata” o considerata come “sottofondo” alla Passione di Gesù.

Però, per parlare di Pilato, è anche necessario parlare di Claudia, sua moglie (che non è  “presente” nella Passione di Luca, ma che “storicamente” tutti hanno in testa).

Da una moglie così si può intuire che tipo d’uomo fosse Pilato … ma di questo ne parlerò dopo.

Duccio di Buoninsegna. Maestà (back, central panel): Jesus Before Pontius Pilate. 1308-11. Tempera on wood panel. Museo dell'Opera del Duomo, Siena, ItalyIeri, riascoltando la Passione secondo Luca, mi ha impressionato il triplice tentativo di Pilato di salvare Gesù, mi ha impressionato la sua insistenza e mi ha anche impressionato la sua – per un certo verso – capacità di svelare il vero motivo di questa “esecuzione” smascherando la falsità dei farisei.

Pilato è un uomo coraggioso, è capace di dire “in faccia” che sono tutte menzogne le accuse mosse a Gesù.

Pilato non teme gli anziani, i sommi sacerdoti, il Sinedrio … no, Pilato, li affronta e li smaschera.

Le parole usate da Luca sono “aggraziate” nel dire che Pilato stava accusando di menzogna degli uomini di fede, che si vantavano di possedere la Legge di Dio.

Pilato ha usato parole quasi infantili, quasi ingenue di chi non capisce la “macchinazione” che c’era sotto.

Probabilmente non si curava troppo di dei o di Dio, un uomo come tanti e come tutti, un uomo “in carriera” un po’ superficiale in materia di fede e di spiritualità, ma – comunque – anche lui, un uomo onesto, leale … anche se spesso sentiamo dire che l’atteggiamento di Pilato era fazioso, annoiato e più preoccupato di sé stesso che non di difendere un condannato ingiustamente.

No, direi che Pilato ha difeso lealmente la Legge di Roma, ha usato il suo potere per porre chiarezza, ha rispettato le competenze mandando Gesù da Erode.

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Il centurione (in cerca di AUTORE)

Oggi vediamo la figura del centurione romano, quello che ha esclamato “Veramente costui era un uomo giusto” (puoi anche vedere il “sommario” delle puntate).

Tanto per cominciare il centurione era:

  • un soldato
  • un uomo “duro”
  • uno che eseguiva gli ordini senza discutere e senza chiedersi il perché
  • uno che usava la violenza per ovvie ragioni
  • uno che non credeva (non veniva in chiesa, diremmo noi oggi)
  • uno che non sapeva nulla di Dio, di Cielo, di Scritture
  • uno un po’ arido, se vogliamo (sarebbe impazzito se ci avesse messo umanità nel suo “lavoro”)

Poi, la sua esclamazione, in cui non diceva che Gesù era veramente un uomo di Dio, il Figlio di Dio. No, ha detto solo che “era un uomo giusto”. Fantastico, Gesù che trova apprezzamento da un  pagano ed un pagano che non può fare a meno di dire – obbiettivamente – “Cavolo, che uomo!”

Ma cosa ha scatenato questa dichiarazione del Centurione? L’eclissi? Mica sarà stata la prima. Il velo squarciato nel Tempio? Che gliene importava a  lui?

Credo che quello che ha colpito il centurione, quello che ha “sfondato” la corazza che si era messa sul cuore (oltre a quella che indossava sul corpo) sono le parole che questo strano uomo di nome Gesù ha pronunciato dalla Croce.

Quello che gli ha ridato un cuore umano è stata la cura, la premura di Gesù sofferente dalla croce verso tutti e verso anche coloro che lo stavano uccidendo.

Come soldato ne avrà viste tante di morti così, ma nessuno mai di questi ha parlato come Gesù.

Si sarà chiesto sbigottito: “Ma come è possibile?”.

Si sarà detto: “Ma come hanno potuto giustiziarlo?”

Si sarà ricordato dei silenzi di Gesù davanti al Sinedrio, davanti ad Erode (era presente il centurione) e si sarà chiesto come mai adesso Gesù si metteva a parlare.

Fino a quel momento, il centurione,  pensava di avere un vita realizzata, pensava di essere un “brav’uomo”, pensava di sapere cosa farne della sua vita, la ragione della sua vita.

Fino a quel momento, il centurione, stava bene  con sé stesso e non prestava molta attenzione alla sua “umanità”, per lui c’erano solo due categorie di uomini: i nemici da combattere ed uccidere e gli amici da seguire ed ubbidire. Altro non sapeva.

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Sei personaggi in cerca di AUTORE

Sei personaggi in cerca di AUTORE.

Non me ne vorrà – spero-  Pirandello se uso il titolo di un suo dramma, ma è quello che – dopo la giornata di ieri – mi viene in mente.

I personaggi sono (ma non rispetterò “l’ordine di comparizione”):

Ne prenderò uno per giorno, analizzandone per ognuno la figura e la sua storia, in relazione con Gesù.

Meraviglia delle radici al sole

Ma che meraviglia non sono quelle radici alla luce del sole ?

Credo sia un po’ quello che dovrebbe capitare a noi,  credo sia quel “portare alla luce” quello che abbiamo nel cuore e credo che – sotto un certo aspetto – magari Gesù intendeva proprio questo con quel “porre la lampada SOPRA il moggio”.

Quella stra-citata conversione, questa parola che ci viene martellata in testa ad ogni piè sospinto, forse forse è “solo” un avere il coraggio di mostrare il proprio cuore, la propria radice.

Sono convinta che la Parola di Dio è scritta “sul cuore” (incisa, impressa a prova di ogni tipo di cancellazione) di ogni uomo, ma questo “cuore” rimane nascosto per un’infinità di motivi … anche se ogni tanto fa capolino e “spinge” (credo siano quelle strane sensazioni quando si combina qualcosa di poco bello).

Ecco queste radici scoperte per opera dell’ acqua mi fanno pensare tanto sia all’acqua del Battesimo, sia all’altro elemento associato all’acqua senza il quale l’acqua rimarrebbe sempre e solo acqua: lo Spirito Santo.

Questa acqua resa viva e attiva con lo Spirito Santo, batte dolcemente, ma inesorabilmente sul nostro povero cuore un po’ pietrificato, un po’ sotterrato (come il talento sotterrato per paura di perderlo) e – adagio adagio – lo porta alla luce, lo porta agli occhi del prossimo perché tutto sia alla luce e tutto si veda.

Tutti i Sacramenti hanno questa “funzione” da “archeologo” e con dei pennellini delicati toglie polvere alla bellezza che c’è in ognuno di noi …

Succede inconsapevolmente di “scoprire il proprio cuore” (è un grosso rischio perché si offre il mitico “fianco scoperto”), ma è un processo inesorabile che – in qualche modo – è anche perfettamente consapevole perché si avverte in progressione nel tempo lo scollamento tra quello che è conveniente mostrare (secondo il mondo) e quello che dobbiamo mostrare secondo quanto ci è stato seminato nel cuore, secondo COME SIAMO STATI PENSATI, CREATI E VOLUTI CON TUTTO IL CUORE … DI DIO PADRE.

Senza togliere nulla ai santi credo che loro siano stati quegli uomini e donne che hanno lasciato trasparire quel “CHI” di cui viviamo (e non solo che “ci abita”).

Per ritornare al Sacramento “in due tempi” (citazione che ho preso da un libro e che ben interpreta il mio simpatico “sospetto”) del Battesimo/Cresima è davvero un portare alla luce tutto, un renderci trasparenti ed un far affiorare la nostra radice … solo la parte superiore delle radici, però, perché le piccole radici (che sembrano tanti fragili) sono quelle profondissime e vastissime che si alimentano costantemente di quest’acqua e – nello stesso tempo – ci tengono ben saldi  nel Creatore, ben saldi nella “terra”.

Come quest’albero, allora, diventiamo – giorno dopo giorno – uomini e donne perfettamente di questa terra e perfettamente del Cielo … ed è (credo, ma non azzardo la certezza) la volontaria fusione dell’uomo a Dio che nient’altro è che quel vecchissimo 1° Comandamento del “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima” e sul verbo “amare” mica si scherza.

(chiedo scusa per l’uso di parole  troppo inflazionate come “conversione, cuore, ecc.” … ma queste sono e queste devo scrivere)

Immagine presa da qui

Oscar Romero

Sono passati ormai 30 anni, da quando quel 24 marzo 1980, Mons. Romero venne ucciso da un sicario con un colpo al cuore mentre stava celebrando l’Eucaristia nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza.
Nell’omelia aveva ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador, che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni.

In ricordo di ciò, il 24 marzo è stato scelto come giorno per celebrare la Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri, istituita dal Movimento giovanile missionario delle Pontificie opere missionarie.

In memoria del vescovo Romero
In nome di Dio vi prego, vi scongiuro,
vi ordino: non uccidete!
Soldati, gettate le armi…
Chi ti ricorda ancora,
fratello Romero?
Ucciso infinite volte
dal loro piombo e dal nostro silenzio.
Ucciso per tutti gli uccisi;
neppure uomo,
sacerdozio che tutte le vittime
riassumi e consacri.
Ucciso perché fatto popolo:
ucciso perché facevi
cascare le braccia
ai poveri armati,
più poveri degli stessi uccisi:
per questo ancora e sempre ucciso.
Romero, tu sarai sempre ucciso,
e mai ci sarà un Etiope
che supplichi qualcuno
ad avere pietà.
Non ci sarà un potente, mai,
che abbia pietà
di queste turbe, Signore?
nessuno che non venga ucciso?
Sarà sempre così, Signore?
(David Maria Turoldo)

Per approfondire:
Santi e beati
Missio

Annalena Tonelli

Annalena Tonelli, nata a Forlì nel 1943, è stata missionaria laica tra i poveri dell’Africa, dove approda nel 1969.
Molte le opere da lei attivate in Kenya e in Somalia, tra cui spiccano, a Borama, la Scuola speciale per sordomuti e bambini disabili e il Centro antitubercolosi, che assiste e guarisce migliaia di ammalati.
Proprio a Borama viene uccisa il 5 ottobre 2003, di sera, mentre torna a casa, dopo trentacinque anni vissuti a testimoniare la radicalità evangelica in terra musulmana.

Nei suoi scritti, dei quali ho pubblicato degli stralci, traspare la sua fede cristallina e la sua gioia di donarsi tutta per i più poveri.
Le sue opere testimoniano che la fede sa smuovere le montagne.

Certo la sua voce è spesso piccola e silenziosa… ma poi LUI è nella celletta della nostra anima e non dovrebbe essere così difficile scendere laggiù ed abitare con LUI. Parole? NO. Verità. Realtà. Certo, per la maggioranza di noi uomini sarà ed è necessario fare silenzio, quiete, spegnere il telefonino, buttare il televisore dalla finestra, decidere una volta per tutte di liberarsi dalla schiavitù di ciò che appare e che è importante agli occhi del mondo ma che non conta assolutamente agli occhi di DIO, perché si tratta di non-valori. Ai piedi di DIO noi ritroviamo ogni verità perduta, tutto ciò che era precipitato nel buio diventa luce, tutto ciò che era tempesta si acquieta, tutto ciò che sembrava un valore, ma che valore non è, appare nella sua veste vera e noi ci risvegliamo alla bellezza di una vita onesta, sincera, buona, fatta di cose e non di apparenze, intessuta di bene, aperta agli altri, in tensione onnipresente fortissima affinché gli uomini siano una cosa sola.

Alcuni riferimenti per approfondire:
Santi e beati
Testimoni del tempo
Comitato di Forlì

Christian de Chergé e i monaci di Tibhirine

Nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996, padre Christian de Chergé e altri sei monaci trappisti vengono rapiti dal monastero di Tibhirine, in Algeria.
Saranno ritrovati morti due mesi dopo.
Padre Christian de Chergé ha lasciato scritto il suo testamento spirituale, che ho pubblicato nei giorni scorsi.
Riporto un ritratto di ciascuno di questi martiri della fede.

Frère Christian de Chergé, priore della comunità, 59 anni, monaco dal 1969, in Algeria dal 1971. La personalità forte, umanamente e spiritualmente, del gruppo. Figlio di generale, ha conosciuto l’Algeria durante tre anni della sua infanzia e ventisette mesi di servizio militare in piena guerra d’indipendenza. Dopo gli studi al seminario dei carmelitani a Parigi, diventa cappellano del Sacré Coeur di Montmartre a Parigi. Ma entra ben presto al monastero di Aiguebelle per raggiungere Tibhirine nel 1971. È lui che fa passare l’abbazia allo statuto di priorato per orientare il monastero verso una presenza di “oranti in mezzo ad altri oranti”. Aveva una conoscenza profonda dell’islam e una straordinaria capacità di esprimere la vita e la ricerca della comunità.

Frère Luc Dochier, 82 anni, monaco dal 1941, in Algeria dal 1947. Quello che tutti chiamavano “il dottore” era, per usare una sua espressione “un vecchio consumato ma non disilluso”. Nato nel Drome, esercita la medicina durante la guerra e arriva perfino a prendere il posto di un padre di famiglia numerosa in partenza per un campo di prigionia in Germania. Per cinquant’anni a Tibhirine ha curato tutti, gratuitamente, senza distinzioni. Nel luglio 1959 era già stato rapito dai membri del FLN (Fronte di liberazione nazionale). Le crisi d’asma non avevano intaccato il suo humour salace. Per il suo funerale aveva scelto una canzone di Edith Piaf: Non, je ne regrette rien.

Frère Christophe Lebreton, 45 anni, monaco dal 1974, in Algeria dal 1987. Personalità calda ed esplosiva. Settimo di dodici figli, questo sessantottino ha prestato servizio civile a titolo di cooperazione in Algeria. È il primo contatto con il monastero di Tibhirine. A 24 anni entra al monastero di Tamié. Ma è innamorato della terra algerina. Verrà ordinato prete nel 1990 e diventerà maestro dei novizi della comunità. Il suo gusto per i rapporti con i più umili va di pari passo con una caparbia volontà di spingersi sempre più lontano nella riflessione di fede e nel dono di sé.

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Può capitare in Quaresima

Può capitare che i “tempi forti” come la Quaresima a qualcuno possa sembrare voli via come sabbia tra le dita. Può capitare che ci si ritrovi a Pasqua senza aver ben capito e con una sorta di disagio perché – magari – non si è vissuto con quella sacra compunzione che tutti abbiamo in testa.

Sento dire da molte persone “mah, non è che l’ho vissuto come avrei dovuto questo tempo … Non ho combinato nulla e tutto è volato via disperso nelle mie giornate un pochino convulse … Non ho rivolto al Signore il pensiero come mi hanno indicato … Non ho fatto per nulla deserto … Insomma, ho perso tempo”.

Càpita di frequente questa sensazione e càpita anche di sentirsi in colpa per questo.

Quando sento queste sensazioni (tristi) di gente cerco di pensare alla vita di Gesù …  cerco di pensare – da quello che i Vangeli ci consegnano – come erano i Suoi “tempi forti” e … immancabilmente mi viene da sorridere perché in confronto alle Sue giornate, le nostre sono di tutto riposo.

Ma … bé, sì, insomma anche lui non si nascondeva nella Sinagoga a pregare per conto suo, anche lui per pregare “scappava” di notte, quando nessuno aveva bisogno di lui e gli altri dormivano … anche lui ha provato – sotto un certo aspetto questa sensazione.

Eppure, proprio da Lui abbiamo avuto l’indicazione che la vera preghiera è la vita, la vera preghiera è pregare pensando al Padre (magari in momenti impensabili), la vera preghiera è la parola che rivolgiamo al prossimo e la parola che “rendiamo” al prossimo affinchè apra il suo cuore e “ci scarichi addosso” tutto quello che ingombra il cuore e lo rende pesante.

La vera preghiera non è una parola detta – FORSE – …  la vera preghiera è aprire le orecchie ed il proprio cuore … Il vero tempo forte … (forse) … non è stare in ginocchio, ma è correre e correre a perdifiato per arrivare dove il Signore vuole che arriviamo.

La conversione a cui siamo chiamati è (sempre forse) molto distante dall’”eremo”  … o meglio … inizia dall’ “eremo” per poi continuare sulla strada trafficata e chiassosa che sono le nostre vite.

Questa Quaresima, poi, sembra martellante sulla misericordia …  e della “conversione raggiunta nel silenzio e nel nascondimento” … neppure l’ombra.

Ogni Vangelo proposto ha una spinta notevole verso l’uomo, ogni Vangelo proposto è un’indicazione di come deve essere il nostro “cuore” (e quando parlo di “cuore” parlo di ciò che è la fonte di ogni nostro pensiero e quindi … la testa) ed  è un’indicazione del NOSTRO cuore e non di quello degli altri.

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Christian de Chergé (-1)

In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!

E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, la-droni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!  Insc’Allah

Christian de Chergé, testamento spirituale