I ponti della Parola di Dio

Mi è capitato di far memoria di tutti i Vangeli da domenica 18 aprile a domenica 2 maggio dove – finalmente – Gesù dà il Comandamento supremo:
“Amatevi gli uni, gli altri come Io ho amato voi”
Quindi, la domenica della missione e dello stile di questa missione.
Ma la settimana dal 18 aprile al 25 aprile era tutta “centrata” nel pane come nutrimento (e anche del companatico: i pesci) e nel pane come nutrimento spirituale.
(quando parlo di spirituale parlo del motore della vita reale e concreta, quel motore, quel sale che modifica nel gusto la nostra vita).

Poi, da domenica 25 aprile a domenica 2 maggio, tutto è “centrato sulle pecore e sul Pastore con tutte le variazioni del caso.
Quindi – dato che la caratteristica delle pecore e del Pastore – è quella di muoversi sempre, direi che Gesù ci sta dando una visione dinamica della Fede che non si ferma dove è.
Questa dinamicità della Fede, questo movimento credo sia in senso reale che in senso affettivo perché – come dirà proprio il Vangelo di domenica 2 maggio – l’amare (e non l’amore che è sempre un concetto che si presta un po’ a  tutto e non è  detto che sia davvero amore) o cresce o muore.
L’amare non conosce “stasi”, magari cambierà la velocità, ma non è mai statico.
Questa è una  cosa che ognuno di noi conosce molto bene (nessuno ha provato la noia nelle amicizie quando sono date troppo “per scontate”? … Nessuno sente la polvere negli affetti di famiglia?).
Bene, con questo “ponte di 15 giorni, Gesù ci sta dicendo una cosa molto importante e abbastanza umana:
prima ci alimenta con Sé stesso, poi ci cura e custodisce con il Suo Spirito ed infine … si parte!!!

Credo, però, che dentro questo ci sia un’ulteriore tentazione da sconfiggere: quella di essere convinti che “si parte” una sola volta … ed invece è una partenza quotidiana.
Una cosa tipo i giochi “a livello”: si arriva ad un livello e poi si riparte per il successivo e via di questo passo, ma se non si riesce a superare il “livello” precedente, allora – a titolo terapeutico – si ritorna da capo.
In questo modo (grande educatore è Dio Padre) nessuno si sente mai arrivato, nessuno si sogna di giudicare l’altro o di sentirsi migliore e tutti hanno l’atteggiamento di Pietro che dice: “Alzati, sono solo un uomo!!!”
Mi piace questo cammino … mi piace proprio … specialmente in questi giorni che continuo a ritornare al 1° livello.
Oh, alla fine imparerò pure no? E se proprio non “vincerò” in tutto, almeno i “fondamentali” li avrò ben in testa avendoli ripetuti migliaia di volte.

Credits:
La fot
o è di Tanino, è stata presa da questo articolo. Grazie

Come Nicodemo

Dedicato a tutti i “Nicodemo” che si lasciano affascinare da Gesù

LETTURA
Lettura degli Atti degli Apostoli 10, 23b-33
Il giorno seguente Pietro partì con gli uomini inviati da Cornelio e alcuni fratelli di Giaffa lo accompagnarono. Il giorno dopo arrivò a Cesarèa. Cornelio stava ad aspettarli con i parenti e gli amici intimi che aveva invitato. Mentre Pietro stava per entrare, Cornelio gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!». Poi, continuando a conversare con lui, entrò, trovò riunite molte persone e disse loro: «Voi sapete che a un Giudeo non è lecito aver contatti o recarsi da stranieri; ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo. Per questo, quando mi avete mandato a chiamare, sono venuto senza esitare. Vi chiedo dunque per quale ragione mi avete mandato a chiamare». Cornelio allora rispose: «Quattro giorni or sono, verso quest’ora, stavo facendo la preghiera delle tre del pomeriggio nella mia casa, quando mi si presentò un uomo in splendida veste e mi disse: “Cornelio, la tua preghiera è stata esaudita e Dio si è ricordato delle tue elemosine. Manda dunque qualcuno a Giaffa e fa’ venire Simone, detto Pietro; egli è ospite nella casa di Simone, il conciatore di pelli, vicino al mare”. Subito ho mandato a chiamarti e tu hai fatto una cosa buona a venire. Ora dunque tutti noi siamo qui riuniti, al cospetto di Dio, per ascoltare tutto ciò che dal Signore ti è stato ordinato».

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 7, 40b-52
In quel tempo. Alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!».
Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!».

Propongo queste letture della liturgia ambrosiana per la giornata di oggi.

Io, quando le ho lette (all’alba), ho fatto un sobbalzone e tante domande (su me stessa) mi sono affiorate alla mente.

Immediatamente queste parole sono diventate immagini che si sono “specchiate” con le immagini del nostro essere Chiesa, cristiani, fratelli (un po’ storditi) di Gesù e figli di uno stesso Padre.

Non pongo domande, ma spero con tutto il cuore che ne nascano in quanti si ritroveranno a guardare in questo “specchio” così luminoso e tenero che manda in frantumi il nostro (mio) un po’ troppo supponente.

Ieri – e non so per quale strano motivo – un ateo (di quelli testardi, ma con un cuore immenso e leale) – mi ha confidato le sue esperienze “mistiche” in luoghi sacri.

Ovviamente, non ha rinunciato alla sua strada da “ateo”, ma ricorda con immensa nostalgia quella pace che invadeva ogni sua piccola cellula.

Io ho sorriso (gioiosa) e ho sensibilmente sentito la mia Fede abbracciare quest’uomo … al cui confronto, io, mi sono sentita piccola, piccola …

Ridendo, poi, gli ho detto: “Devi essere un grand’uomo, se per te il Signore si è “scomodato” così” …

La cosa buffa, è che questa persona, ha – in qualche modo – agito come Nicodemo ponendo come 1° valore essenziale il rispetto per Dio (per ogni Dio di tutte le religioni che conosce bene essendo di “medici senza frontiere”) …

Vi assicuro che quel discorso così intimo e delicato l’ho vissuto come un’autentica Messa dove ho visto incarnarsi il Signore tra le mura di uno studio medico.

Credits:
La fot
o è di Tanino, è stata presa da questo articolo. Grazie

Pastori e pecore

Ora, non so se tutti hanno mai avuto questa sensazione all’ascolto del Vangelo di domenica, ma io – come ogni volta accade – rimango sbalordita per il consueto riferimento alle pecore come animali stupidi che non sanno cosa fanno o dove vanno. Animali (a me personalmente simpatici) che danno sempre l’immagine di una massa senza coscienza, una massa non pensante e un tantino amorfa.

Ecco, ho sempre avuto il sospetto che sbagliamo un po’ tutti a prendere l’immagine della pecora in questo senso e – di più – dubito anche che Gesù intendesse questa immagine che ognuno di noi ha in testa e che sempre sentiamo.
Insomma, è abbastanza offensivo (per il luogo comune pecora=stupidità) sentirsi delle pecore e – come se non bastasse – non mi pare proprio che Gesù abbia stimolato al “pecorame”, anzi, ha sempre spinto all’uscire dal “così fan tutti”, Lui stesso è stato uno che è “uscito dal coro” e via via, tutti i suoi discepoli che – nel post Spirito Santo – sono pure diventati molto decisi a ribattere alle accuse/persecuzioni della … “massa dei potenti”.
Inoltre, se è abbastanza offensivo e anti evangelico questo essere pecore in quel senso, anche Gesù ne esce male da questa situazione perché – e questo forse non tutti lo sanno – il “pastore” dei Suoi tempi non aveva nessun valore ed era all’ultimo posto nella scala sociale … Mi sa allora che, o io sono diventata matta oppure abbiamo capito male tutti.
Il bello delle pecore è che sono miti, mansuete e … sempre vittime di “lupi” (sia animale che umani), sono animali indifesi dato che non hanno nessun tipo di “arma naturale”, non hanno denti o corna, non hanno veleni o unghie, non hanno proprio nulla se non un candido e caldo manto.
Il bello del “pastore” è che “vive” per le sue pecore, le difende e lo fa perché è il primo sostentamento sia di latte che di pellame.
Il “pastore” vive con le sue pecore, sta a guardia del recinto per tenere lontani i lupi ed è in un rapporto quasi affettivo.
Lo stesso per le pecore che sono ben coscienti di non aver nessuna difesa come “corredo” da Madre natura.
In questo senso, allora, con questo nuovo aspetto di pecore e pastori … come cambierebbe la faccia del cristiano, come cambierebbe la vita …

Ah … giusto per indicare che Gesù non ha mai indicato alla “pecoraggine” ed ha spinto i suoi apostoli a ben altro, basta leggere la 1° lettura di ieri dove si sono così ben opposti alla menzogna che i “coloro che mentivano” non hanno potuto scegliere altra via se non quella della calunnia.
Ma anche per questi “lupi” Gesù lascia sempre una porta aperta … e – perché no – potrebbe “far Luce” in loro come ha fatto con Paolo ed altri.

La voce del pastore (meditazione ferroviaria)

Commento al Vangelo del 25 aprile 2010, IV domenica di Pasqua (anno C) 

+  Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10, 27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Parola del Signore

Tante voci
Ritorno con la mente alla giornata trascorsa, uguale a molte altre, e ripenso alle voci che ho ascoltato ed ho seguito:
la prima è quella di ringraziare il Signore con un segno di croce, un rapido ricordo mentre indosso la catenina con il crocifisso, appena prima di vestirmi;
poi il saluto della moglie che, uscendo di casa, mi augura una “buona giornata”, e così già si inizia bene, nonostante un cielo grigio che promette pioggia;
alla stazione ferroviaria la voce all’altoparlante annuncia l’arrivo del treno per Milano al binario 2, e così seguo questa voce e mi sposto sul binario indicato.

Pecore in carrozza
Ecco, già qui mi sembra di comprendere meglio il vangelo: la voce che indica il binario giusto è come la voce di Gesù che mi chiama ogni giorno a seguire la sua strada.
Da buona pecora buon pendolare sono ormai abituato a seguire le indicazioni dell’altoparlante (è sempre la solita voce !), ad ascoltare con attenzione per scegliere il binario giusto;
e così come me ci sono altre pecore altri viaggiatori che seguono le stesse indicazioni per recarsi a Milano, per lavoro o per studio.
Le centinaia di persone stipate nelle carrozze sovraffollate del treno mi ricordano tanto un gregge di pecore, tutte strette una all’altra, che vanno nella medesima direzione.

In sala di aspetto
Devo dire però che la voce di Gesù non è così facile da ascoltare, ci sono tanti disturbi e interferenze che mi distraggono.
Seduto nella sala di aspetto, sulla panchina di una stazione affollata (hai presente Milano Centrale o Roma Termini ?), sono attratto da mille voci e faccio fatica ad ascoltare le indicazioni dell’altoparlante o a leggere il display delle partenze o degli arrivi.
A volte succede che, preso dalle mille distrazioni, non sappia bene quale sia il binario giusto, e finisce che o perdo il treno oppure mi ritrovo su un treno che va nella direzione sbagliata (succede, succede veramente …).

Richiami e annunci
L’atteggiamento comune alle pecore ed ai viaggiatori è l’ASCOLTO.
Gli agnelli imparano, appena nati, a riconoscere la voce del loro pastore e non seguono altri che lui. Anche se la pecora è insieme a tante altre, essa sa riconoscere il richiamo del proprio pastore, ed è sollecita a seguirlo.
In una sala d’aspetto affollata e’ fondamentale ascoltare gli annunci, riconoscere la giusta indicazione per poter salire sul treno che ci porta alla nostra destinazione.

Destinazione Paradiso
Così le parole della canzone di Gianluca Grignani, del 1994:

… e allora sai che c’è
c’è che c’è, c’è che prendo un treno
che va a paradiso città
e vi saluto a tutti e salto su
prendo il treno e non ci penso più

Gesù mi garantisce che, seguendolo, arriverò sicuramente alla mia destinazione finale, ovvero la vita eterna.
Magari ci saranno intoppi, ritardi, scioperi ferroviari, vulcani in eruzione, e così via;
ma un cosa è certa: se saprò ascoltare le sue indicazioni non dovrò temere nulla di tutto questo, perchè so che sono stato affidato alle mani di un conducente esperto e perfetto.
Egli conosce la strada da percorrere, i treni da prendere, le coincidenze da rispettare per arrivare a destinazione.
Destinazione Paradiso. Paradiso Centrale.

Forza, il treno sul binario della vita sta partendo, è il tuo, è ora di prenderlo.
Salta sù, il viaggio è solo all’inizio.
Buon viaggio.

Il fiume ha voluto fare di testa sua e si è smarrito
(proverbio bahaya)

Pesci e pane

Proprio ieri sera, mentre leggevo tutti i commenti al post “La cura di Gesù e la cura del Padre”, mi sono resa conto di quante considerazioni si possono fare, quante meraviglie nasconde ogni parola del Vangelo e quanti riferimenti al prima ed al dopo.

Mi sono resa conto che davvero

“E tutti saranno istruiti da Dio” (Gv 6, 45)

Come sta scritto nel Vangelo di oggi.

Tutti noi dobbiamo donare anche ogni singolo pensiero, ogni singola parola che nasce dalla lettura del Vangelo.

Le nostre parole/pensieri ecc., magari non saranno il Magistero della Chiesa (che comunque rimane stabile), ma sono estremamente concreti, reali e realizzabile.

Direi che sono … “i nostri pesci” … oppure che noi stessi siamo “pesci” ripescati che si danno in cibo al prossimo.

Abbiamo parlato di un ricordo, nel Vangelo di domenica, al miracolo di Cana, ma fatto da Gesù ed in modo diverso, abbiamo parlato della “maternità” di Dio (mi sono sempre chiesta perché ci abbiamo messo tanto a capirlo, tra l’altro, visto che il “generare” è di Dio e nel “generare” c’è sia la paternità che maternità), abbiamo parlato dell’umiltà di Gesù nel chiedere ed anche della discrezione di Gesù nell’interessarsi sul nutrimento fisico degli apostoli, abbiamo parlato di quello strano “figlioli” e dello strano modo di Gesù di presentarsi ai suoi apostoli (noi ci saremmo fatti vivi dicendo “Ehi, sono qui, sono Risorto, sono Gesù” ecc. ecc..

Ora, dopo la lettura di ieri sera, mi sono resa conto di un altro riferimento evangelico:

la moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Con la sola differenza che in quel fatto evangelico, pare, siano stati solo i pani ad essere moltiplicati, mentre in questo fatto evangelico post-resurrezione e dentro la corsa di Gesù per rinfrancare la Chiesa nascente, sono i pesci ad essere moltiplicati.

Gesù aveva pochi pani e pochi pesci che ha messo sulla brace, ma si adopera per una pesca miracolosa. Il  pane – pare – è rimasto solo quello che c’era, ma i pesci sono stati moltiplicati.

Il pane (che è Gesù, che è l’Eucarestia … cosa che viene ribadita ogni giorno in questa settimana) rimane quello che è, non si consuma ed è sempre sufficiente; il pesce – invece – si consuma …

Quindi, il Pane (Eucarestia) rimane come fondamento, ma il “companatico” (pesce) è affare nostro, è una cosa che dobbiamo donare noi – o meglio – siamo noi i pesci dati come alimento al prossimo.

Da qui nascono un sacco di domande:

possibile che anche noi possiamo incarnare – grazie allo Spirito Santo – il cibo per il prossimo?

Possibile che anche noi siamo “alimento” che completa e nutre il prossimo?

Possibile che “i pesci” siano le opere?

Mah … sono domande (e ne avrei anche altre a dire il vero) che mi fanno sorridere e mi stupiscono parecchio.

La cura di Gesù, la cura del Padre

“Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare»”

Strane parole in bocca a Gesù nel Vangelo di oggi.

  1. Come mai Gesù chiama i suoi amici “figlioli”? Non l’ha mai fatto, non li ha mai chiamati così.
  2. Dove, Gesù, ha preso il pane ed il pesce che era già sulla brace, visto che gli apostoli gli avevano detto che non avevano nulla da mangiare?
  3. La richiesta di Gesù era per lui o per gli apostoli? Per chi ha chiesto da mangiare: per Lui o si è preoccupato del fatto che gli apostoli erano digiuni?
  4. Questo “digiuno”, questa fame era solo la fame fisica o un altro tipo di fame? Da come inizia la pericope, dall’aria di tristezza e delusione che gira tra le prime parole, pare più un altro tipo di fame.
  5. Se c’erano già dei pesci sulla brace, come mai Gesù ne ha chiesti ancora da quelli che avevano appena pescato? Era insufficiente quello che c’era oppure significa qualche altra cosa?
  6. Perché Gesù ha indicato di gettare le reti a destra e non a sinistra? Non è che quella destra è la parte che il Figlio occupa in fianco al Padre e quindi nel Figlio tutto è possibile ed ogni fame è saziata?

Per ora solo domande e aspetto le prossime ore, magari giornate, a mettere in ordine le risposte che mi si affacciano alla mente.

Di certo, come Tommaso già aveva identificato con quel “Mio Signore e mio Dio”, su quella riva non c’era solo Gesù, ma anche Dio Padre … mentre lo Spirito Santo si stava “dando da fare” per far trovare il modo agli apostoli di sfamarsi e saziarsi di speranza e fiducia … oltre che a saziare la fame fisica.

La Trinità inizia a manifestarsi con delicatezza, con discrezione soccorrendo, aiutando e rendendosi capibile ed “assimilabile” da chi non ha più la forza.

E’ un amore immenso che supera tutto e si manifesta nelle piccole cose umane … E’ Dio che si ricorda delle esigenze umane … E’ Spirito e corpo che – finalmente – trovano l’unità.

L’ombra di Pietro

Dagli Atti degli Apostoli (At 5,12-16)
Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.
Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.

Ieri ho sentito due omelie molto efficaci: una su Pietro (1° lettura) e l’altra su Tommaso.

Su Pietro tutto si concentrava sulla sua ombra che – come è scritto – operava guarigioni; su Tommaso – invece – si concentrava sul credere, sulla tradizione cristiana che basa tutto su dei testimoni, sulla necessità di avere una prova fisica e tangibile di Dio e – aggiungo di mio – sulla carità ed il grande amore di Dio che arriva a capire la difficoltà che noi abbiamo (ma che l’uomo di tutti i tempi ha) di credere in qualcosa/Qualcuno che non si vede con gli occhi fisici.

L’OMBRA DI PIETRO

Non ci avevo mai pensato a questa “ombra” e – soprattutto – non avevo mai pensato che l’ombra esiste se c’è la Luce. Senza luce l’ombra non esiste, non può esistere.

Quindi – deduco io –  la testimonianza, l’ “andare a dire” è una parola che trova conferma sull’ombra che lascia una vita illuminata dal Signore. Gesti concreti e – a volte – banali come solamente il passare per strada, il salutare, un agire nel quotidiano allineato al Vangelo, ma senza forzature senza un “devo fare così”  perché un cristiano non è mai stata una “persona di facciata e d’immagine” ma è sempre stato la persona che anche nel nascondimento delle 4 mura di casa si muove e vive nello stesso modo che vive in mezzo alla gente.

Abbiamo sempre pensato che l’ombra (spirituale) è qualche cosa che non va bene, qualche cosa che indica una parte “da mettere in luce” per scovare il male che cerca sempre di nascondersi dietro altro, ma l’”ombra” del male, il cono d’ombra del male non è “ombra”, ma è tenebra/nascondimento dalla luce.

L’ombra – invece – ha sempre a che fare con la luce, la nostra coscienza è OMBRA del Signore e – per assurdo – questa ombra porta a vedere meglio.

L’ombra è quindi Luce “tradotta” o Luce che colpisce un corpo concreto e si prolunga, si rende reale nel pieno rispetto dell’umanità, della fisicità, della concretezza.

Ma … è il “proprietario” dell’ombra non sa cosa fa la sua ombra … non se ne cura e credo che questo sia una cosa bellissima per evitare che il “proprietario” si senta “luce”, mentre è solo corpo attraversato dalla luce.

Masaccio ci ha lasciato poche opere, una di queste è la cappella Brancacci, nella chiesa di S. Maria del Carmine a Firenze.
Su una delle pareti è raffigurato il passaggio di San Pietro, che risana gli infermi con la sua ombra.
Se passate da Firenze, fate una visita, merita davvero
(Nicodemo)

Gesù sta in mezzo a noi

Commento al Vangelo del 11 aprile 2010, II domenica di Pasqua (anno C) 

+  Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Gesù viene
Anche se sono rinchiuso nelle mie oscurità, abbracciato alle mie paure, immobilizzato dai pesi delle dei miei peccati, GESU’ VIENE.
Di sua iniziativa e senza “chiedere permesso” lui entra e mi raggiunge là dove io sono.
2000 anni fa. Ieri. Oggi. Sempre.
Non chiede permesso per entrare, ma chiede a me di accettare la sua amicizia, portandomi in dono ciò che mi è necessario: lo Spirito, la Pace, Lui stesso.
Anche se nel momento in cui è venuto non ero in casa, oppure se ero distratto e non mio sono accorto della sua presenza, ebbene Lui ritorna ancora una volta, proprio per me che “ero fuori”.
Ritorna per recuperare anche gli assenti, anzi sembra proprio che si voglia prendere più cura di chi più dubitava.
Si manifesta a tutti, ma ritorna per farsi toccare da me che non c’ero.
Non si presenta a mani vuote, no. Porta in dono quello di cui necessito maggiormente: la pace, la sua pace, e lo Spirito di Dio.

Gesù sta in mezzo a noi
Sulla croce non è finito tutto, Gesù non è morto per ritornare dal Padre, ma continua a stare in mezzo a noi.
Nonostante la mia incapacità di vedere oltre alle porte chiuse del mio orgoglio, Lui si ferma con noi nell’ottavo giorno, quello della resurrezione; è il giorno che ricordiamo ogni domenica celebrando la santa messa.
Ci penso ogni volta che mi ritrovo con chi crede come me in Cristo risorto, che sta succedendo un miracolo: Gesù è presente in mezzo a noi; anche se il mio vicino di banco mi sta antipatico e no sopporto il suo modo di fare, anche se sto pensando a tutto fuorché al sacrificio eucaristico … anche se … Gesù è in mezzo a noi.
Ah, se capissi di ri-vivere questo momento, nulla sarebbe più bello che gridare forte “Gesù è qui con noi !!!”.

Vedere-toccare-credere
A volte mi sembra di essere come quei bambini che hanno bisogno di verificare di persona quello che gli adulti dicono loro.
La necessità di fare esperienza della mia fede è umanamente comprensibile, ed in questo Gesù stesso mi viene in aiuto dicendomi: “sono qui, sono venuto proprio per te, avvicinati e toccami”.
Ed io, che sono il fratello gemello di Tommaso, voglio assicurarmi di quanto Lui mi dice; ma nell’esatto istante in cui mi muovo, capisco che chi mi chiama è il Signore stesso, attraverso il suo Figlio.
Questa comprensione è possibile grazie all’azione dello Spirito Santo che Gesù ha donato morendo in croce, e che continua a donare ogni volta che se ne fa richiesta.
Ecco manifestata anche la Trinità; Tommaso riesce a comprendere che Gesù è Dio stesso perchè può “mettere insieme i pezzi” grazie al dono dello Spirito.

Quando gli altri hanno ricevuto, tu puoi ancora ricevere, perchè Dio è sempre lì.
(proverbio del Burundi)

Il nostro amico Tommaso

Maestà (back, crowning panel): Doubting St. Thomas. 1308-11. Tempera on wood panel. Museo dell'Opera del Duomo, Siena, ItalyConfesso che a guardarmi in giro non è che si sente molto l’aria della Pasqua.

Sì, dai, è come se tutto fosse stato inghiottito dalla quotidianità … E’ stata una festa come un’altra, un po’ più di impegno liturgico, ma – tutto sommato – una festa come le altre che – una volta passata – viene riposta (proprio come il Presepe).

E’ una cosa comune a tutti, non c’è colpa alcuna, è semplicemente così.

O meglio, a noi pare sia così, ma qualcosa è successo in noi … magari in modo impercettibile, ma qualcosa è successo.

Sia a Natale come a Pasqua ciò che ci muove è l’affettività, l’emotività che prende aria, ossigeno …

Sia a Natale come a Pasqua ciò che ci inquieta un po’ è proprio questo

Sia a Natale come a Pasqua – dirò una stupidata – ma molti diventano un po’ più umani e alcuni – invece e purtroppo – diventano sempre più disumani.

Viene scossa la sensibilità e verrà scossa – prima o poi – come un terremoto di una potenza inaudita coloro che si mantengono disumani.

Ognuno di noi può dire che in questi giorni abbiamo avvertito una vista un po’ più acuta che andava oltre il visto ed il visto ed entrava nel cuore altrui.

Ognuno di noi – in un modo o nell’altro – ha cercato (cosa straordinaria davvero) di “far fare festa” all’altro … A molti è successo questo.

La cosa inaudita davvero p che tutto passa per il nostro cuore umano, con i nostri sentimenti, con la nostra tenerezza. Nulla di “fuori dal mondo”, ma dentro questo mondo, questa vita, queste persone ed in modo del tutto umano.

Guardando a questo e leggendo le letture che ci accompagnano in questo mi sono resa conto che anche per gli apostoli è stato lo stesso.

Loro quando hanno ri-visto Gesù hanno lasciato libera la loro affettività, sono quasi “impazziti” dalla gioia, il cuore scoppiava nel loro petto.

Pietro, ad esempio, si è  buttato in acqua … un’altra volta, ma questa volta non ha rischiato di affogare, questa volta è corso dal suo Maestro.

Giovanni, pareva avesse il cuore incollato a Gesù e percepiva più con questo che non con gli occhi o l’intelligenza (è stato lui a dire a Pietro sulla barca “E’ il Signore”).

Pura affettività, infinite emozioni, legami d’amore umano.

Ma tra i dodici ce n’è stato uno che ha avuto paura di questo, probabilmente ha avuto paura di soffrire ancora, forse ha preferito negare tutto preferendo il ricordo che non la certezza.

Tommaso, sì, proprio lui. La bellezza di Tommaso, come di tutti gli altri del resto, è che è autentico e non ha paura di ammettere la propria incredulità, il proprio limite.

Non ha paura di nulla, ha solo paura di soffrire di più di quello che già soffriva.

Tommaso è ognuno di noi e ognuno di noi nella sua vita ha provato o proverà questa disarmante incredulità che si rivolge al Signore con un leale “non ce la faccio”.

La cosa che non ci aspetteremmo mai è che il Signore stesso che cerca proprio questi “Tommaso”, esaudisce il loro desiderio, non si scandalizza, non si inquieta, ma cerca e ri-cerca di … farsi credere.

Ciò che ne esce da Tommaso – anche qui forse dirò una stupidata – è che la sua esclamazione (e da notare che alla fine il dito nei chiodi non ce l’ha messo) è stata “Mio Signore e mio Dio”.

Passi il “mio Signore”, ma il “mio Dio”?

Il primato di Pietro (quel “Tu sei il Figlio del Dio vivente”) è un po’ meno primato perché Tommaso, in un colpo solo, ha riconosciuto sia che Gesù era il Figlio di Dio sia … la Trinità.

Quel riconoscere Gesù Risorto come Dio è un conoscere e riconoscere la Trinità … anche perché tra “mio Signore” e “mio Dio” ci sta un “E” .. che significa appunto riconoscere la differenza e l’unità del Figlio di Dio con Dio.

Quando oggi ho risentito questa magnifica professione di Fede di Tommaso, mi sono accorta di questa cosa ed – sinceramente – mi sono meravigliata per la Grazia che Tommaso ha ricevuto.

Ecco, auguro a tutti una Grazia simile e – garantito – le nostre giornate non saranno più inghiottite dalla routine.

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Sabato Santo

Regalo questa riflessione di Enzo Bianchi perché mette in luce un giorno eccezionale e – purtroppo – lasciato troppo in secondo piano: il Sabato Santo.
Voglio dire, passiamo troppo in fretta dal Venerdì Santo alla Pasqua di Resurrezione, passiamo lasciando il Sabato come “non giorno”, un sabato distratto …
E ci scordiamo che è proprio il Sabato Santo il giorno del grande miracolo, del grande  perdono, di questo Dio Padre attraverso Suo Figlio Gesù ci china ancora sull’umanità, sull’uomo (proprio come per l’adultera) … si china e scende agli inferi per reclamare i Suoi figli, per liberarli, per strapparli dalle mani del male …
Ma ci riusciamo ad intuire quale tempo terribile è stato per Gesù? Riusciamo ad intuire che grande amore ci vuole per questo?
Buona Pasqua … ma non è finita qui, non è finita con oggi.

Silenzio di Dio, silenzio dell‘uomo – Enzo Bianchi
Può apparire paradossale parlare del sabato santo perché per i cristiani è un giorno contrassegnato dal silenzio, un giorno che potrebbe apparire “tempo morto”, svuotato di senso. Anche i vangeli tacciono su questo “grande sabato”: il racconto della passione di Gesù si arresta alla sera del venerdì, all‘apparire delle prime luci del sabato e riprende solo con l‘alba del primo giorno della settimana, il terzo giorno, appunto. Giorno vuoto, dunque? Nella tradizione cristiana occidentale, il sabato santo è l‘unico giorno senza celebrazione eucaristica, l‘unico giorno restato “aliturgico”, senza celebrazioni particolari: tacciono le campane, non ci sono fiammelle accese nelle chiese spoglie, né canti… Anche la preghiera dei cristiani si fa silenziosa ed è carica soprattutto di attesa: attesa di ciò che muterà profondamente ogni cosa, ogni storia. Certo, sappiamo bene che la Pasqua è un evento avvenuto ephápax, “una volta per tutte”, il 9 aprile dell‘anno 30 della nostra era, sappiamo che Cristo ormai risorto non muore più, siamo consapevoli di non celebrare un mistero ciclico come facevano i pagani… E tuttavia siamo chiamati a vivere questo giorno cogliendone il messaggio proprio: lo viviamo nella fede che il Signore crocifisso è vivente in mezzo a noi ma, discernendo all‘interno del triduo pasquale il secondo giorno come giorno di silenzio, di attesa, del non detto, noi assumiamo una dimensione che ci abita sempre e che alcune volte – nella vita nostra, o degli altri o di interi popoli – è la dimensione durevole, non momentanea, non passeggera.

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