“Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria»”
(Lc 4,22-24) [rito romano]
A parte il fatto che è una parola che ricorda molto un altro momento di Gesù, un momento drammatico: il momento della Croce. La stessa sfida, la stessa provocazione e lo stesso non riconoscere … lo stesso “dare per scontato di conoscere tutto e tutti”, ma spesso mi sono chiesta perché mai un profeta non è bene accetto in patria. Ho fatto fatica a capirlo ed ho dovuto sbattere il classico naso.
Ho sempre immaginato di tutto a spiegazione di queste parole, tutto, tranne la più ovvia, la più frequente, la più normale.
“Il dare per scontato” di conoscere una persona e non si accetta che questa persona esca da ciò che conosciamo di essa.
Non lo si accetta davvero. Da un buono mi aspetto solo il buono e da un cattivo mi aspetto solo cattiveria; da un cristiano mi aspetto cristianità e da un ateo non mi aspetto nulla di buono.
Questo lo ammetto io di averlo fatto, ma possiamo ammetterlo tutti (con un po’ di vergogna) eppure … eppure dovevo saperlo che ogni Battezzato è profeta, prima o poi diventa profeta (che non vuol dire indovino) … prima o poi diventa Voce di Dio.
Ecco perché un profeta non è ben accetto in patria, perché sconvolge i nostri canoni e conoscenze.
E’ ancora la storia di non riuscire a “vedere oltre” che si aggrava con la non gratitudine per le tante persone che sono autentici doni.
Ecco, se prendiamo una spiegazione così, il fantastico “Inno alla carità” di San Paolo prende tutto un altro sapore.
Un sapore che ci porta a “sbattere – di nuovo – il naso” sulla domanda essenziale di: “ma cosa è la carità?”
Non sono denaro dato, aiuto prestato, tempo regalato … no, no, è qualcosa di molto più sconvolgente.