No, non sono diventata matta, ma devo dire che esiste davvero questa voglia di tristezza.
Se da una parte la evitiamo e ne abbiamo paura, dall’altra la cerchiamo, involontariamente , ma la cerchiamo.
Dico una cosa strana? Direi di no!
Alzi la mano chi in un periodo felice all’improvviso sente (eh eh) la paura di essere felice, come se fosse una cosa sbagliata, come se fosse un’anticipazione di un periodo triste che – di certo – arriverà.
Si alzerà un coro assordante di “Nooooo, io no!”, perché non è bello ammetterlo, ma è così.
Abbiamo parcheggiato in noi questa voglia di tristezza che – da ridere – ci mette al riparo da una gioia (una gioia del tutto umana) che ha sempre i “minuti contati” per fare in modo che il salto tra la gioia ed il dolore sia “contenuto”, sia un “saltino” e non una voragine. Quando capita questo, pur essendo nella gioia, avvertiamo tristezza … perché è sempre lì … è sempre presente in noi, non fosse altro per la coscienza che prima o poi la fine della gioia arriverà (è storia quotidiana).
Bene, ammesso questo che dobbiamo fare? Che devo fare?
Prima di tutto ammettere che “gioia e dolore proprio” sono sentimenti che nascono dal concetto di “ricevere” e di “avere” e quindi, tutto quello che ha il sapore di un qualche cosa che ci viene tolto (qualche cosa di ogni genere) è dolore e tristezza.
Ammettere questo è – in altre parole – sapere per certo che gioia e tristezza (che arrivano fino agli estremi di felicità e sofferenza) sono vincolati al nostro “diritto” di prendere e di avere, di possedere e trattenere.
Per certi “articoli” da avere e possedere non è che sia una cosa sbagliata in sé (affetto, armonia, pace, serenità anche economica, salute ecc.), ma lo diventa se c’è una smania ed un perseguire questi “articoli” che ci rendono sempre ansiosi, preoccupati e completamente incapaci di accogliere i piccolissimi doni giornalieri.
Qualcuno mi dirà “Dici bene tu, ma pensa a quelli che non hanno da mangiare o sono malati di un male incurabile. Pensa a quelli che stanno soffrendo terribilmente”. Ci penso, ci penso e sono proprio queste persone (molte di queste persone) che spesso mi hanno fatto vedere la forma di gioia (stranissima) che li abita stabilmente, quella forma di gioia (che delle nostra gioia non ha proprio nulla) che li rende luminosi e – straordinario davvero – totalmente aperti all’altro, così aperti da considerare un problemino del prossimo come superiore al proprio (che magari è mostruoso) e in questa considerazione cercare di consolare e porre rimedio.
Loro hanno abolito la loro voglia di tristezza (egocentrica) con la loro voglia di DARE GIOIA.
I nostri vecchi ci hanno sempre detto che “siamo nati per soffrire” (brrr …. Quante sbuffate alla mia nonna ed alla mia mamma a sentire queste parole), così scrollandomi da dosso questa “faccia che soddisfa la tristezza” (che a volte è tristezza scaramantica) mi sono detta che:
sarà anche vero che siamo nati per soffrire, ma è anche vero che siamo ri-nati per NON FAR SOFFRIRE, per togliere “spine di tristezza” che abitano quotidianamente i cuori ALTRUI.
Allora … chissenefrega se siamo tristi magari per dei problemi anche gravi, che vinca in noi la certezza che siamo uomini e donni che devono dare gioia, che siamo operatori della gioia, che abbiamo (ah ah ah ah) il potere assoluto di dare … anche quello che a noi pare di non avere.
Voglia di tristezza, allora … no, grazie! Sono a posto così, sono “al mio posto” come bancarella di Dio della gioia, come ambulante della gioia, come quella presenza che fa esclamare dal prossimo in certi momenti “ma sei la Provvidenza di Dio” … anche se piango, anche se soffro, anche se dubito, anche se ho tutte le strade chiuse, anche se ….