Non so davvero se serva a qualcuno o a qualcuno interessino questi scritti di San Tommaso. Ci spero, ovviamente, perchè trovo siano parole che trovano immediato riscontro nella vita, nella concretezza della vita umana.
Altrettanto ovviamente sono pronta a sospendere il tutto se non interessa. Io, scoprendo per caso San Tommaso, mi sono sentita un po’ accompagnata e seguita con amore.
II-II, 49
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Proemio
Le singole parti integranti della prudenza
[41061] IIª-IIae q. 49 pr.
Ed eccoci a trattare delle singole parti così dette integranti della prudenza.
Sull’argomento s’impongono otto temi distinti:
1. Memoria;
2. Intelletto, o intelligenza;
3. Docilità;
4. Solerzia;
5. Ragione;
6. Previdenza;
7. Circospezione;
8. Cautela.
Se la memoria sia tra le parti della prudenza
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Articolo 1
[41066] IIª-IIae q. 49 a. 1 co.
RISPONDO: La prudenza ha per oggetto le azioni da compiere, come abbiamo notato. Ora, in codesto campo l’uomo non può essere guidato da quanto è vero in senso assoluto e necessario, ma da ciò che avviene nella maggior parte dei casi: infatti è necessario che i principi siano proporzionati alle conclusioni, e le conclusioni ai principi, come scrive Aristotele. Ma ciò che è vero nella maggior parte dei casi va determinato dall’esperienza; infatti il Filosofo afferma, che “le virtù intellettuali ricevono origine e incremento dall’esperienza e dal tempo”. Ora, l’esperienza nasce da una somma di ricordi, come spiega Aristotele. Perciò per la prudenza si richiede la memoria, o il ricordo di più cose. E quindi giustamente la memoria è posta tra le parti della prudenza.
[41067] IIª-IIae q. 49 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Stando alle cose già dette, la prudenza applica la conoscenza astratta ai casi particolari che sono oggetto del senso; ecco perché la prudenza richiede molte cose che rientrano nella parte sensitiva. E tra queste c’è la memoria.
[41068] IIª-IIae q. 49 a. 1 ad 2
2. Come la prudenza, pur avendo una base naturale, riceve il suo sviluppo dall’esercizio, o dalla grazia, così, a detta di Cicerone, la memoria non si esplica soltanto sulla base della natura, ma molto riceve dall’arte e dall’industria personale. Quattro sono gli accorgimenti con i quali l’uomo sviluppa la propria capacità mnemonica. Primo, rivestendo le cose che vuole ricordare di immagini adatte, e tuttavia non troppo ordinarie: perché le cose straordinarie destano in noi più meraviglia, e quindi l’animo vi si applica con più forza; e da ciò deriva che ricordiamo meglio quanto abbiamo visto nell’infanzia. E questa ricerca di somiglianze o di immagini è necessaria, perché le idee semplici e spirituali svaniscono più facilmente dall’anima, se non sono legate in qualche modo a delle immagini corporee: poiché la conoscenza umana è più adatta per le cose sensibili. Ecco perché la memoria si riscontra nella parte sensitiva. – Secondo, è necessario che quanto l’uomo vuole tenere a memoria lo disponga ordinatamente nel suo pensiero, in modo da passare facilmente da un ricordo ad un altro. Ecco perché il Filosofo afferma: “Le reminiscenze talora prendono lo spunto dal luogo; e questo perché facilmente si passa da un luogo a un altro”. – Terzo, è necessario che uno si applichi con sollecitudine e con affetto a quanto vuol ricordare: poiché più una cosa è impressa profondamente nell’animo, meno si cancella. Infatti Cicerone ha scritto nella Retorica, che “la sollecitudine conserva intatte le immagini delle cose rappresentate”. – Quarto, le cose che ci preme ricordare bisogna ripensarle spesso. Ecco perché il Filosofo afferma, che “i pensieri assidui salvano la memoria”: poiché, com’egli si esprime, “la consuetudine è come una seconda natura”; ed ecco perché subito ricordiamo le cose che spesso abbiamo pensato, passando dall’una all’altra quasi seguendo un ordine naturale.
[41069] IIª-IIae q. 49 a. 1 ad 3
3. Noi siamo costretti a regolarci sulle azioni future partendo dal passato. Ecco perché la memoria, o ricordo del passato è necessaria per ben deliberare sulle azioni future.
♦♦♦♦♦
Se l’intelletto sia tra le parti della prudenza
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Articolo 2
[41074] IIª-IIae q. 49 a. 2 co.
RISPONDO: L’intelletto, di cui ora parliamo, non è la potenza intellettiva, ma la giusta nozione di un termine, o principio, che si considera come per sé noto: cioè nel senso che parliamo d’intelletto a proposito dei primi principi della dimostrazione. Ora, qualsiasi deduzione razionale procede da determinate nozioni che si prendono come dati primordiali. Ecco perché qualsiasi processo razionale parte da un intelletto. E poiché la prudenza è la retta ragione delle azioni da compiere, è necessario che tutto il processo della prudenza derivi da un intelletto (o intuizione). Ed ecco perché l’intelletto è ricordato tra le parti della prudenza.
[41075] IIª-IIae q. 49 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La prudenza termina, come in una conclusione, in un’azione particolare da compiere, alla quale applica, come abbiamo detto, una mozione universale. Ora, una conclusione particolare si deduce da due proposizioni, una universale, l’altra particolare. Perciò la prudenza deve derivare da due intuizioni, o intelletti: di cui la prima ha per oggetto gli universali. E ciò appartiene all’intelletto che è una delle virtù intellettuali: poiché per natura ci sono noti, come abbiamo visto, non solo i primi principi universali di ordine speculativo, ma anche quelli pratici, p. es., che “non si deve fare del male a nessuno”. – C’è poi una seconda intuizione, o intelletto, la quale, a detta di Aristotele, ha per oggetto un “termine”, cioè un primo dato singolare e contingente da compiere, vale a dire la minore del sillogismo, che nel processo razionale della prudenza deve essere singolare, come abbiamo detto. Questo primo dato concreto o singolare è un fine particolare, come nota lo stesso Aristotele. Perciò l’intelletto che troviamo tra le parti della prudenza è il giusto apprezzamento di un fine particolare.
[41076] IIª-IIae q. 49 a. 2 ad 2
2. L’intelletto che troviamo tra i doni dello Spirito Santo è, come abbiamo detto, un’acuta percezione delle cose divine. Ben diverso è l’intelletto che abbiamo descritto come parte della prudenza.
[41077] IIª-IIae q. 49 a. 2 ad 3
3. L’intuizione giusta di un fine particolare viene denominata intelletto in quanto ha per oggetto un principio; e senso in quanto ha per oggetto un singolare. A questo accenna il Filosofo nell’Etica, quando scrive: “Dei singolari bisogna avere un senso; e questo è l’intelletto”. Parole queste che non si riferiscono ai sensi particolari con i quali conosciamo i sensibili propri; ma al senso interno col quale giudichiamo i singolari.