Uomini di Dio – Des hommes et des dieux

Io ho detto: «Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo,
ma certo morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti».
Sal 82, 6-7 – citato in Gv 10, 34

Foto dei monaci di Tibhirine, dal film Uomini di Dio

Degli uomini e degli dèi, secondo la traduzione letterale dal titolo in francese, è il film che è uscito alla fine di ottobre nelle sale cinematografiche italiane. Sono andato a vederlo con i miei 2 figli maggiori (7 e 10 anni).

All’inizio del film compare la citazione tratta dal salmo 82, che ci riporta alle radici fondamentali della nostra esistenza: veniamo tutti da Dio e siamo destinati a ritornarvi.
La nostra esistenza si snoda tra la nascita e la morte, ed è fatta per lo più da azioni comuni a tutti gli uomini.
Il film del regista Xavier Beauvois racconta la vita semplice dei monaci nel villaggio di Tibhirine (significa “piccolo giardino” in lingua cabila) in Algeria; una vita che è il risultato di precise scelte personali di ognuno dei monaci, che sono come i tasselli di un piccolo e bellissimo mosaico di pace, inserito in un contesto di guerra e violenza.

In passato mi aveva affascinato la storia di questi uomini e ne avevo parlato in un post dedicato alla giornata dei missionari martiri che ricorre il 24 marzo di ogni anno. Poi avevo saputo, dal festival di Cannes, dell’uscita di questo film che ha riportato alla luce la loro storia, e ne aspettavo l’edizione italiana.

Il film, che in Francia ha avuto un grande successo di pubblico, secondo me è stato realizzato  con una prospettiva “laica” ma che ha saputo cogliere gli elementi essenziali della vita dei monaci: dedizione ai poveri, preghiera, fedeltà alle scelte, umanità, perseveranza, ricerca della pace, in sintesi FEDE-SPERANZA-CARITA’.

Foto originale dei monaci di Tibhirine

La vita quotidiana di ognuno è fatta di piccole cose, ma dietro ci stanno delle scelte ben precise; anche i dubbi e le debolezze umane fanno parte di questo, ma sono sempre inserite in un contesto di fede vissuta.
Bellissimi e senza bisogno di commenti i momenti di preghiera cantati, soprattutto quello del Natale.
Gli attori sono tutti molto bravi ed espressivi: durante il pranzo sulle note del “Lago dei cigni” il volto di ognuno dice chiaramente quello che sarebbe impossibile da dire con le parole.

Piccola chicca che personalmente ho notato: Carlo Carretto, un testimone che io ho riscoperto da poco, viene citato nella lettura di un suo articolo, durante il pranzo comunitario, nella prima parte del film.

Lascio ora spazio ai due figli che hanno visto con me il film.

Luca:
Mi è piaciuto molto, l’unica cosa è che non c’era molta azione.
I miei personaggi preferiti sono Christian, perchè un mio amico si chiama così, e Luc perchè anche io mi chiamo così e da grande anche io vorrei fare il medico.
La scena che mi è piaciuta di più è la notte di Natale, quando Christian ed il capo terrorista si sono dati la mano.

Simone:
Mi è piaciuta la scena con la musica del “Lago dei Cigni”, che ho riconosciuto subito.
La fine, quando nevicava, mi è piaciuta molto.
Secondo me era troppo lungo.

PS:
Per chi si chiedesse come ho fatto a portare due bambini a vedere un film di questo genere, posso dire che ho parlato loro della storia dei monaci di Tibhirine, ho cercato di interessarli, ecc. ecc.
Devo anche ammettere che ho fatto questo baratto: prima i figli mi hanno portato a vedere un film di animazione di loro scelta (Cattivissimo me), poi abbiamo visto Uomini di Dio, in seguito di comune accordo andremo a vedere “Il viaggio del veliero”, la prossima uscita del film tratto dalle “Cronache di Narnia”.
😉

Credits:
Devo ringraziare per le foto, che sono prese dal blog di Luigi Locatelli, da una recensione del film che condivido abbastanza. Grazie

Christian de Chergé e i monaci di Tibhirine

Nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996, padre Christian de Chergé e altri sei monaci trappisti vengono rapiti dal monastero di Tibhirine, in Algeria.
Saranno ritrovati morti due mesi dopo.
Padre Christian de Chergé ha lasciato scritto il suo testamento spirituale, che ho pubblicato nei giorni scorsi.
Riporto un ritratto di ciascuno di questi martiri della fede.

Frère Christian de Chergé, priore della comunità, 59 anni, monaco dal 1969, in Algeria dal 1971. La personalità forte, umanamente e spiritualmente, del gruppo. Figlio di generale, ha conosciuto l’Algeria durante tre anni della sua infanzia e ventisette mesi di servizio militare in piena guerra d’indipendenza. Dopo gli studi al seminario dei carmelitani a Parigi, diventa cappellano del Sacré Coeur di Montmartre a Parigi. Ma entra ben presto al monastero di Aiguebelle per raggiungere Tibhirine nel 1971. È lui che fa passare l’abbazia allo statuto di priorato per orientare il monastero verso una presenza di “oranti in mezzo ad altri oranti”. Aveva una conoscenza profonda dell’islam e una straordinaria capacità di esprimere la vita e la ricerca della comunità.

Frère Luc Dochier, 82 anni, monaco dal 1941, in Algeria dal 1947. Quello che tutti chiamavano “il dottore” era, per usare una sua espressione “un vecchio consumato ma non disilluso”. Nato nel Drome, esercita la medicina durante la guerra e arriva perfino a prendere il posto di un padre di famiglia numerosa in partenza per un campo di prigionia in Germania. Per cinquant’anni a Tibhirine ha curato tutti, gratuitamente, senza distinzioni. Nel luglio 1959 era già stato rapito dai membri del FLN (Fronte di liberazione nazionale). Le crisi d’asma non avevano intaccato il suo humour salace. Per il suo funerale aveva scelto una canzone di Edith Piaf: Non, je ne regrette rien.

Frère Christophe Lebreton, 45 anni, monaco dal 1974, in Algeria dal 1987. Personalità calda ed esplosiva. Settimo di dodici figli, questo sessantottino ha prestato servizio civile a titolo di cooperazione in Algeria. È il primo contatto con il monastero di Tibhirine. A 24 anni entra al monastero di Tamié. Ma è innamorato della terra algerina. Verrà ordinato prete nel 1990 e diventerà maestro dei novizi della comunità. Il suo gusto per i rapporti con i più umili va di pari passo con una caparbia volontà di spingersi sempre più lontano nella riflessione di fede e nel dono di sé.

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