Una ricerca permanente

Antonio Thellung mi manda un contributo, tratto dal suo libro “L’inquieta felicità di un cristiano“, che ha un riferimento a Nicodemo e Tommaso come esempi di “ricerca”.

Una ricerca permanente

Se metter mano all’aratro è una metafora tutt’altro che semplice da capire, quando viene applicata al contesto della vita quotidiana, ancor più misterioso appare il significato del non voltarsi indietro. L’indagine finisce per investire la sfera psicologica, ma d’altra parte, mi domando, esiste un reale confine tra psiche e spirito? Ad esempio, i celeberrimi esercizi spirituali di Sant’Ignazio non sono forse, in gran parte, esercitazioni psicologiche? Talvolta la complessità mentale sembra volersi burlare di noi, ma forse, mi piace pensare, lo fa per tenerci svegli.

Dopo aver trascorso molti anni della mia vita a ricercare modi e atteggiamenti per farsi discepolo nel quotidiano, oggi mi accorgo di essere ancora un cristiano part-time. Forse dipende dallo stupore che non cessa di farmi compagnia, o forse mi sento attratto da troppi interessi per seguire un’unica direzione. Per questo cerco d’identificare e approfondire ciò che veramente conta, ciò che può facilitarmi il distacco dal superfluo. Comunque sia, mi sono accorto che interrogarmi continua a essere uno straordinario alimento per la mia fede, perché spero se non altro di smascherare almeno qualche tranello fra quelli che la stimolante e subdola complessità psichica mi tende ogni giorno.
Le deduzioni sembrano chiare, e tuttavia trovo arduo rendermi conto a che punto mi trovo con la mia coscienza. Istintivamente direi di essere abbastanza avanti, ma ho anche sentito dire che è difficilissimo formarsi un’autentica coscienza, perché ciascuno pensa di averne una già sufficientemente matura, a qualsiasi livello si trovi. A studiare taluni insegnamenti spirituali orientali e occidentali verrebbe voglia di dire: la coscienza, questa sconosciuta. C’è anche chi insinua che, di fatto, lo stato di coscienza ordinaria è da considerarsi patologico. Io non saprei cosa pensare, ma mi domando quale rischio corro di farmi delle illusioni. Capisco che altro è una percezione generica di sé, altro il senso consapevole della propria realtà.

Vero che l’atteggiamento di ricerca permanente è faticoso, esige un dispendio di energie, richiede una continua attenzione per non smarrirsi in subdole complicazioni, e anche per non lasciar spazio a quell’autentica tentazione del maligno che propone interpretazioni artefatte dell’umiltà e della presunzione (chi sono io per poter indagare il senso della realtà? Non ne sono capace, non sono all’altezza, non ne sono degno): un atteggiamento che invita alla delega di coscienza. Ma l’umiltà non è servilismo, non è sottomissione, non è rinuncia. Al contrario è una virtù stimolante che, partendo dalla consapevolezza dei propri limiti, aiuta a disfarsi dei condizionamenti culturali per affrontare la ricerca con un coraggioso atteggiamento innocente.

Infatti, mentre la comune educazione di tipo ideologico e conflittuale ci spinge a fare domande non per conoscere qualcosa di nuovo, ma per cercare conferma alle nostre tesi precostituite, l’atteggiamento innocente consiste nel porsi senza pregiudizi davanti alla ricerca, con disponibilità a lasciarsi guidare, condizionare, modificare, modellare dalle risposte e dalle nuove scoperte. Questa è vera umiltà. Nella parabola degli invitati a nozze, “il re…. scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: come ti permetti di entrare qui senza abito nuziale?” (Mt 22,11-12). Ma non si riferiva ad abbigliamenti formali: l’abito nuziale evangelico è simbolo di castità, di atteggiamento libero da riserve mentali e doppiezza di cuore. È come se gli avesse detto: “come ti permetti d’indagare il divino per cercare conferma ai tuoi pregiudizi, o per farne un uso di comodo?”.

L’ammonimento mi tocca profondamente, suggerendomi di lasciar da parte scetticismo, diffidenze, furberie, secondi fini, per aprire la mente al mistero.
Esempi stimolanti li trovo in Nicodemo e Tommaso. Il primo non si stanca d’interrogare Cristo, anche se avverte che le sue “certezze” si stanno sgretolando. Il secondo non si accontenta di ricevere informazioni dall’esterno, ma chiede di essere personalmente “toccato” dal suo maestro. Entrambi ottengono i risultati cercati perché il loro atteggiamento resta limpido e sincero, secondo coscienza. Due insegnamenti determinanti, almeno per chi, come me, non riesce ad accontentarsi di una spiritualità precostituita. Ma la via della ricerca permanente è lastricata da cocenti delusioni, soprattutto perché con il passare del tempo appare sempre più evidente quanto sia complicato capirsi, quanto l’equivoco e l’ambiguità siano padroni del campo, quanto sia facile perfino ingannare se stessi! Si tratta di ostacoli difficilmente superabili per limiti di natura e di linguaggio, e anche quando si riesce a capire, puntualizzare, definire molte cose, i limiti della realtà conservano sempre dei contorni vaghi, perché con l’aumento delle conoscenze il confine dell’ignoto si dilata sempre più, quasi volesse prendersi gioco di noi. Devo ammettere che tutta questa mia fatica di anni e anni non mi ha portato a risultati esaurienti, ma mi consolo pensando che non è stata inutile, visto che alcuni frutti non si potrebbero negare. L’istinto mi dice che bisogna puntare in alto con impegno e perseveranza per ottenere almeno qualche risultato, sia pur modesto.

Se guardo a come sono attualmente scorgo in me tante e tante cose che non mi piacciono, ma vedo anche il cammino percorso, ricordo ciò che ero, e mi sembra incredibile essermi lasciato alle spalle tanti “attaccamenti”, tanti difetti, tante debolezze. Se invece guardo oltre, verso quel che potrei diventare, resto impressiono per la lunga strada ancora da percorrere, e capisco che la misura sarà sempre scarsa. Credo che tenere presente questa duplicità complementare mi potrà aiutare a non scoraggiarmi né a insuperbirmi. Quanto a misurarmi sugli altri non m’interessa affatto, perché so che non mi sarebbe di alcuna utilità.

Al cospetto della Croce

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

+  Dal Vangelo secondo Giovanni (GV 3, 13-17)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

BEATA VERGINE MARIA ADDOLORATA

+  Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19, 25-27)
In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

In questi giorni (14 e 15 settembre) ricorrono due feste che sono strettamente legate: la memoria (o esaltazione) della Croce di Cristo ed il ricordo di Maria Vergine Addolorata.

Le vacanze sono ormai finite, la scuola è iniziata e tutte le attività stanno ormai riprendendo. Inoltre in diocesi è tempo di presentazione del piano pastorale e di ripresa delle attività parrocchiali e diocesane.

Queste due “feste”, posizionate allinizio dell’anno pastorale (e scolastico), cadono provvidenzialmente al momento giusto; infatti ci ricordano il fondamento di ogni nostra iniziativa che si svilupperà durante il prossimo anno: la Croce di Cristo.
E’ quesa la “base” della nostra fede, ed il tempo liturgico fa bene a ricordarcelo.
Inoltre la figura della madre di Gesù ci fa da guida per il percorso che stiamo iniziando.

Il dolore della Madre di Gesù mi fa comprendere quanto grande sia stato il sacrificio compiuto per la mia salvezza e quella di tutti.
Non si tratta di un dolore rinchiuso in sè stesso, ma si apre all’accoglienza di un nuovo figlio: il Vangelo parla di Giovanni, ma posso essere benissimo anche io.

Mi sono chiesto quale potessero essere i sentimenti di Gesù nel momento della crocifissione, ma non mi sono ancora dato una risposta.
Però ho trovato un bel quadro ( parte del “Polittico di San  Matteo,  dipinto da Antonio Thellung) che raffigura la crocifissione vista dalla parte di Gesù.
Lo riprongo qui, ringraziando l’autore.

Nicodemo visto da … Romeo

Ricevo una mail da Romeo, un lettore del blog, che mi offre alcuni suoi pensieri sul personaggio di Nicodemo, a me così caro.
Così
, con il consenso di Romeo, ho pensato di pubblicare queste riflessioni sul blog.

Mi ha molto incuriosito il personaggio di Nicodemo, che Gesù in Gv. 3,1-21, descrive :
Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?

Cosa rappresenta Nicodemo?
Noi, più o meno ricercatori della luce e della verità non ci comportiamo come Nicodemo?
Per conoscere la Verità non lo facciamo con le ns. paure interiori, un pò di nascosto per non avere noie con chi  ci sta vicino o con la Legge o Autorità. Di giorno mi occupo della mia sicurezza economica o posizione sociale, di notte dò sfogo alla mia interiorità.
Gesù ci aspetta sia di giorno che di notte e quando siamo predisposti ci apre la porta della conoscenza che porta a capire la verità la quale ci libererà da tutti i nostri pregiudizi o falsi concetti che sono la nostra prigione in cui noi stessi ci siamo rinchiusi.

Gesù parla al Nicodemo (giorno) per fargli capire ed anche far capire a noi l’ottusità a comprendere anche le cose più semplici e terrene che abbiamo incarnato in noi; come potrà Egli in queste nostre condizioni parlarci delle cose celesti.
Il Nicodemo (di notte) comprende e trasferisce con amore all’altra parte gemella l’impulso a cambiare a seguire la Via di Gesù (cose celesti) per inalzare la propria anima ad un livello più spirituale che terreno.
Più avanti nel brano Gesù è ancora più chiaro “la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce perchè le loro opere erano malvagie”.

Bisogna pertanto sforzarsi di passare per la porta stretta, andare contro alla parte malvagia operando secondo gli insegnamenti di Gesù e di Maria.
Ho visto una volta per televisione un documentario che rappresenta molto bene il lavoro da fare; i salmoni risalgono la corrente dei fiumi con sforzi enormi e saltando allo scopo di deporre le proprie uova alle sorgente del fiume. Molti di essi vengono mangiati dagli orsi o muoiono dopo aver raggiunto il loro scopo.
Per rinascere come dice Gesù a Nicodemo bisogna morire all’Errore.
Per morire all’Errore bisogna comprendere ed accettare l’Errore, solo così si opererà la trasformazione che è la rinascita libera dall’Errore.

Un grosso abbraccio uniti nell’AMORE di GESU’ e di MARIA nostri veri amici e Salvatori.
Romeo.

Grazie Romeo !
E tu che stai leggendo, se hai qualcosa da dire e se vuoi pubblicarlo qui, questo spazio è sempre aperto.
Nicodemo

Accenni ed azzardi

Uscire per cercare

Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?

Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo.


Stare in casa ad accogliere

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova?

Ambedue i figli sono nell’errore, ma non quello che si pensa, bensì quello della convenienza. Neppure il figlio che torna parla di amore, ma parla solo di convenienza.

Strana la contrapposizione tra il lasciare le 99 pecore ed uscire a cercare quella perduta, con lo spazzare la  casa per trovare la moneta.

Il figlio che si è perso, non è quello scapestrato, ma quello che era in casa, quello che ha sempre ubbidito ed è per questo che il padre è uscito (pur rimanendo nella sua proprietà).

Quello scapestrato è stato solo atteso ed accolto, ma anche lui dovrà fare l’altro passo che ha fatto – poi – il fratello maggiore: imparare ad amare e a non pretendere.

Quelli che si perdono non sempre sono quelli che si allontanano, ma sono quelli che rimangono con il cuore sbagliato.

Un altro accenno …

Nè la pecore, né la moneta sono tornate da sé al loro posto, come né il figlio scapestrato, né il figlio maggiore ci sono arrivati da sé alla conversione (il ritorno del figlio giovane era dettato- come ho detto – dalla convenienza e ha dato per scontato il perdono del padre come l’altro ha dato per scontato che valeva  più del figlio più giovane): pecore, monete e figli sono tutti guidati da un amore immenso che cura e si preoccupa anche e soprattutto per quelli che sono “in casa”.

Ho solo accennato perché il tempo non è molto … non è neppure una lettura “ortodossa” di questo Vangelo, ma credo che ne valga la pena valutare anche questi aspetti.

Essere preghiera

Ho trovato questo testo di Gustave Thibon che ben dice cosa significa pregare per qualcuno:

Preghiera — «Pregherò per te». Ho mai udito parola umana che giunga da più lontano? Giunge dalla confluenza di Dio e dell’uomo. Tu rispondi di me davanti a Colui che è tutto e che è anche me stesso. La preghiera per il prossimo è come un aspetto inverso del martirio: la preghiera fa dell’uomo che prega un testimonio, la cauzione di un altro uomo davanti a Dio. Sei più vicino a me di quanto lo sia io stesso, perché sei tra Dio e me. Sei come un baluardo innalzato contro la sua giustizia e un varco aperto sul suo amore. Nel cuore della dolce e mortale lotta tra l’uomo e la sua fonte, tu combatti al mio posto. Il tuo amore temerario si è infiltrato nella scissura stessa che mi separa dal centro, nel vuoto scavato dalla mia ribellione e dalla mia viltà. Tra quali pietre hai posto la tua anima! Sembri volgermi il dorso e invece il tuo volto è esposto, per me, ai colpi diretti, ai richiami dell’ignoto; non mi parli, ma parli di me al silenzio. Pregare per qualcuno è come aderire, al tempo stesso, a Dio e all’uomo, è come realizzare il perfetto equilibrio ha questi due amori.

Forse è questo che Gesù intendeva con “amatevi come io vi ho amato”.

Ma applicato al Vangelo di ieri … lascia storditi e tremanti.

Ma è possibile?

Certo che lo è,  basta (forse) smettere di pregare ed essere una preghiera vivente, incarnazione dell’aiuto che Dio porge a chi ne ha bisogno in ogni forma possibile ed immaginabile.

Una particolarità: chi è preghiera vivente non se ne accorge per nulla, anzi ha l’impressione di non riuscire a dire una sola parola di preghiera e l’unica cosa che si ripete costantemente nella testa è il nome della persona da aiutare.

Buona giornata


Vangelo a colori ed il colore del Vangelo

Vangelo Lc 14,25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:

  • «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
  • Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
  • Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
  • Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
  • Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
A volte si ha l’impressione, leggendo certi brani di Vangelo, che Gesù inizi un discorso e poi- da solo – immette degli Off Topic nel suo stesso discorso. S’, insomma, quasi un inserire esempi che noi diremmo “c’entrano come i cavoli a merenda”.
Così, ho provato a colorare i diversi “discorsi nel discorso” di Gesù.
L’inizio e la fine (in rosso) SONO il discorso, ma
  1. Quell'”amare di più di …” non credo significhi NON AMARE, ma che l’amore al Signore è “di più”. Sta proponendo un “di più” dell’amare naturale ed è quel “di  più” che Lui stesso ha vissuto. Ha amato Sua Madre, ha amato i Suoi discepoli, ma è andato oltre, e questi amori così intensi non hanno interferito sull’amore al Padre per il quale non ha esitato a morire. Gesù per primo ha rinunciato a questo avere, un avere che sono i tesori della vita umana. Ha rinunciato però per dare ancora di più. (vd. Pietro quando volevo impedire a Gesù di andare a Gerusalemme a morire)
  2. Credo, poi, che il punto azzurro … bé, ha in sé una verità: in effetti molti portano una croce, ma non stanno dietro a Gesù, altri invece stanno dietro a Gesù, ma non vogliono portare alcuna croce … della rinuncia dei propri “averi”
  3. Eh … e i punti in mezzo? Quelli verde e lilla? Boh … non saprei, ma chiusi dentro quell’inizio e quella fine di discorso, mi paiono un invito alla fedeltà, alla fiducia e alla Fede senza i quali non riusciremmo a portare a termine nulla. Il bello è che gli averi di quello che vuole costruire la torre e la forza-uomo di quel re sono a tutti gli effetti gli stessi averi che Gesù dice di rinunciare, ma Lui dice di rinunciare ad avere per sé ed ad usare  per il proprio prestigio questi averi, anteporli al Signore. E, in effetti, contrasta non poco con la storia di Abramo no? Ma Abramo – per Fede (alias “stare dietro al Signore“) ha compiuto perfettamente tutta la volontà di Dio.

Mah …