Lettera dal monte delle beatitudini

(*) Caro Giusto,

Non so se riuscirò ad esaudire il tuo desiderio di farti conoscere la dottrina predicata dal Galileo, perchè il descriverla non è facile compito. Se tu mi avessi chiesto cosa vuole il Nazareno avrei potuto risponderti: tutto.
E’ proprio così! egli esige da noi tutto, assolutamente tutto.

Indovino il tuo stupore e la tua incredulità; tu non comprendi le mie parole ma, vedi, anche a me non riesce facile comprendere quell’uomo. La verità che egli annuncia è così semplice nei suoi particolari che anche un bambino potrebbe afferrarla; presa però nell’insieme, essa supera la ragione umana.

Il suo modo di esprimersi è semplice e chiaro; è come se egli ti guidasse su una strada piana e facile. D’un tratto però questa strada finisce e a te par di stare per precipitare in un abisso.
Allora egli ti dice «Dammi la mano, appoggiati a me, abbi fiducia in me e chiudi gli occhi».

[…] Ma tu vuoi sapere in che cosa consista la sua dottrina.
Ascolta: alcuni giorni fa Gesù, accompagnato dal solito corteo di uditori, si era diretto verso i dintorni della città. Era una giornata splendida, come sempre è qui. Solo una nuvoletta, simile ad un fiocco di piuma, vagava nel cielo e il lago di smeraldo scintillava iridescente in fondo alla valle. All’orizzonte si disegnavano su un fondo grigio le cime dell’Antilibano striate di neve.
La folla procedeva con un brusio somigliante al rumore di un torrente di montagna. Ad un certo punto ci si dovette fermare perchè la collina verso verso cui eravamo diretti formava ora davanti a noi una ripida parete di roccia nuda.

[…] Quando tutti furono sistemati […] egli scosse la testa, allargò le braccia e abbracciò con uno sguardo tutta quella marea di gente.
Di solito i suoi discorsi cominciano con una haggadah: racconta di un re, di un coltivatore, di un capo-famiglia. Gli ascoltatori si interessano al racconto e a poco a poco egli insinua la verità nei loro cuori. Ma questa volta l’inizio fu diverso. Disse:

Beati …

(*)  Brano tratto dal libro “Lettere di Nicodemo- la vita di Gesù” di Jan Dobraczynski (al capitolo “Sesta lettera”)

Credits: immagini prese dal sito Art et bible (grazie !)

2 Replies to “Lettera dal monte delle beatitudini”

  1. Nicodemo,
    avrei voluto commentare come l’Anna di 84 anni che stava sempre al Tempio, ma le parole litigavano tra loro per uscire per prime nel pensiero e non riuscivo ad organizzarle in un discorso.
    Tutto è partito dal “conoscere Gesù” e dalla semplicità – eh sì – di Dio (che non è semplicioneria).
    Ho pensato che conoscere Gesù – e per esperienza diretta e personale – è frutto di quel “fantomatico” discernimento che ho sempre pensato – sbagliando – fosse un dono che fà SOLO capire cosa si deve fare, scoprendo – poi – che è il dono della conoscenza NEL E DEL CUORE. Ho trovato queste parole nel web (come al solito per caso) e ti posso garantire che – leggendole – sono vere, sono vita vissuta.
    E’ un vedere “oltre”, ma dentro “l’adesso”.

    Eccotele:
    L’episodio della presentazione di Gesù al Tempio lascia intravedere la dottrina sul discernimento, personificandola nelle figure di Simeone e Anna. Il tema di fondo è legato alle forme spesso irriconoscibili e alle apparenze umili con cui è solito farsi incontrare dall’uomo. Il discernimento gioca perciò un ruolo di primo piano, in quanto senza di esso sarebbe impossibile cogliere la gloria di Dio dietro le sue umili apparenze. Qui possiamo definire il discernimento come la capacità di leggere il secondo livello della realtà. La presenza di Dio si colloca sempre al di là del segno visibile, che perciò deve essere oltrepassato dallo sguardo del discepolo. Chi invece si ferma al livello del segno e non penetra al di là del velo del Tempio, non può sperimentare alcun incontro vitale col Signore. Nella sua personale religiosità egli incontrerà solo le strutture, i precetti e i riti, ma non il Dio vivente. Le figure di Simeone e di Anna spiccano per il fatto di essere le uniche, in Tempio sicuramente affollato di gente, in grado di riconoscere l’inimmaginabile presenza personale di Dio dietro le apparenze di un neonato. L’interrogativo sul discernimento non può perciò essere evitato: perché solo questi due israeliti riescono a vedere oltre le apparenze? I pochi accenni alla storia personale di entrambi, forse possono darci le chiavi per rispondere a un tale interrogativo.La possibilità di ricevere da Dio la luce del discernimento, e quindi di poter vedere la sua presenza e la sua opera ne mondo, dipende innanzitutto dalle motivazioni interiori che spingono la persona a fare quello che fa. Di Simeone l’evangelista Luca dice che era “un uomo giusto e pio e aspettava la consolazione di Israele” (Lc 2,25). E poi, poco più avanti, aggiunge: “mosso dallo Spirito si recò al Tempio” (v. 27). Ci sembra che queste due definizioni ci mostrino già alcune disposizioni che, evidentemente, sono necessarie per ricevere da Dio la luce del discernimento, visto che Luca tace circa la folla che rimane completamente cieca dinanzi al Bambino. Indirettamente, si intuisce che chi non possiede queste disposizioni non vede nulla oltre la materia. Non è solo Simeone, però, ad avere le giuste disposizioni di animo per acquisire la vista dello Spirito, visto che anche un’altra persona emerge dalla folla, differenziandosi da essa proprio in virtù del suo sguardo più penetrante. Di lei Luca dice che “non lasciava mai il Tempio e serviva Dio giorno e notte” (Lc 2,37). Per di più, questa donna aveva ottantaquattro anni e aveva vissuto col marito solo sette anni e poi era rimasta vedova. Perduto il marito in giovane età, non si era più sposata, dedicandosi a tempo pieno al servizio di Dio. Dalle loro storie personali si possono dedurre alcuni principi validi per la dottrina sul discernimento. La luce della vista soprannaturale è data a chi:
    – vive aspettando che Dio realizzi le sue promesse. Simeone è caratterizzato infatti dalla sua apertura al futuro di Dio. Non è uno di quelli che dicono tra sé che nella propria vita non ci sarà mai nessuna novità di bene. Costoro chiudono a priori la porta al Signore, il quale non potrà davvero fare nulla di nuovo nella loro vita, per il fatto stesso che essi non ci credono. E quel che è peggio, quando il Signore verrà loro incontro sotto un aspetto irriconoscibile, non se ne accorgeranno neppure. Esattamente come la gente che affolla il Tempio: il Signore è entrato ed essi non se ne sono neppure accorti.
    – vive la sua esperienza religiosa non per abitudine. Di Simeone non si dice che andò al Tempio perché era un obbligo legale; non si dice che ci andò per consuetudine inveterata; non si dice che ci andò per sbrigare un affare privato. Si dice invece che ci andò “mosso dallo Spirito”. Nella sua esperienza religiosa, Simeone si muove sulla base di spinte e di motivazioni che si radicano nella sua interiorità, dove lo Spirito Santo è di casa. Il fatto che egli agisca per convinzione e non per convenzione, lo dispone a ricevere un sguardo penetrante che gli fa vedere Dio dove tutti gli altri (tranne Anna) non vedono in apparenza che un comune neonato.
    – vive per servire Dio in tutte le proprie azioni. Questa disposizione interiore è proprio del secondo personaggio che riconosce la presenza di Dio in una veste irriconoscibile: Anna di Fanuele. Per lei è come se non esistesse più nulla all’infuori di Dio. Non si allontana mai dal Tempio, serve Dio giorno e notte. Chi orienta tutto se stesso e tutte le proprie azioni al servizio di Dio, acquista uno sguardo penetrante, capace di vedere, oltre le apparenze, la presenza e l’opera di Dio nel mondo.Il vangelo di Luca riprende il tema dell’incontro con Dio sotto un aspetto irriconoscibile nell’episodio dei discepoli di Emmaus. Il Cristo risorto è oramai fuori dalla portata dei sensi umani dei suoi discepoli, perciò, necessariamente, d’ora in poi, chi desidera incontrarlo, non potrà vederlo nella veste gloriosa del suo corpo risorto, ma lo vedrà come lo hanno “visto” i discepoli di Emmaus, cioè nei segni umili del Pane e della Parola. La prospettiva giovannea non è dissimile, fin dal primo miracolo di Gesù, dove essi vedono solo l’acqua trasformata in vino, ma l’evangelista precisa che essi in quel momento videro “la sua gloria” (Gv 2,11). Ovviamente, essi videro, dietro il segno del vino, l’azione salvifica dell’Unigenito. Il contrario accade invece alla folla dopo la moltiplicazione dei pani: tutti vedono il pane moltiplicato miracolosamente, ma non lo leggono come un segno da oltrepassare per giungere alla conoscenza della gloria e dell’amore di Dio. Dimostrano così di non avere discernimento, come implicitamente Cristo lascia intendere: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato e vi siete saziati” (Gv 6,26). Essi si sono fermati quindi alla materia, senza risalire ai significati depositati da Dio al di là delle cose visibili.
    (http://www.cristomaestro.it/discernimento/nt/presentazione.html)

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